La Leggenda del Duca Alaric e l’Incanto delle Terre del Duca
Era la metà del Quattrocento quando il giovane Duca Alaric di Svevia, ultimo erede di un’antica casata nobile del Nord Europa, intraprese un lungo viaggio verso Sud, spinto da un richiamo che sentiva vibrare nel sangue da generazioni. A portarlo in terra di Puglia non fu solo il desiderio di esplorare i possedimenti ereditati a Ceglie Messapica, ma qualcosa di più profondo, arcano: il bisogno di ritrovare un legame perduto tra uomo e natura.
In sella al suo fiero cavallo murgese, Sleipnir, un destriero nero come la notte, dalla forza silenziosa e dallo sguardo quasi umano, attraversò vallate e colline per settimane. La razza murgese, che l’imperatore Federico II di Svevia aveva fatto conoscere al Nord dopo il suo primo, indimenticabile viaggio in Puglia, sembrava racchiudere lo spirito stesso di quella terra: selvaggia, elegante, potente.
Fu seguendo il volo delle rondini e il profumo degli ulivi che Alaric giunse infine sulle colline tra Ceglie e Ostuni. La vista era mozzafiato: la pietra chiara, la terra rossa, e in lontananza il mare che scintillava come un oracolo. I contadini parlavano sottovoce di energie invisibili che abitavano quei campi, e Alaric, uomo attento ai segni e ai silenzi, comprese che quello era il luogo che cercava.
Non scelse una masseria, troppo rigida e lontana dallo spirito del luogo. Fece invece erigere un trullo saraceno, forma primordiale e armonica, nato per fondersi con la terra, non per dominarla. Lo chiamò Il Fico, in omaggio all’albero che, solo e fiero, cresceva lì dove avrebbe posto la sua nuova casa.
Alle spalle del trullo, nella radura accarezzata dal vento, fece costruire una barchessa in pietra, semplice e solenne, dove Sleipnir potesse trovare riposo. Ogni mattina, il cavallo si svegliava rivolto a levante, guardando sorgere il sole oltre gli ulivi.
La barchessa, purtroppo, fu distrutta secoli dopo, per ragioni che il tempo ha cancellato. Non ne resta traccia, eppure… ancora oggi, nelle sere d’estate, alcuni dicono di sentire il battito lieve di zoccoli sui sassi e di scorgere, tra le ombre argentate dell’erba alta, la presenza misteriosa di Sleipnir, fedele guardiano delle Terre del Duca.
Nel tempo, Alaric ampliò la sua tenuta: fece costruire Il Mandorlo, un complesso posto in posizione più elevata, per accogliere gli amici viaggiatori che scendevano dal Nord in cerca di luce e quiete. L’ultimo trullo, L’Ulivo, fu invece aggiunto in epoca più recente dai suoi eredi, in un’area appartata e silenziosa, oggi rifugio intimo per chi cerca la magia più sottile della natura.
Ancora oggi, tra il frinire delle cicale, il canto degli ulivi e il calore delle pietre antiche, si può sentire la presenza del Duca Alaric. Le Terre del Duca non sono solo un luogo in cui soggiornare: sono un racconto che vive, un’esperienza dell’anima.
“E quando le pietre si fecero casa, e gli ulivi divennero ombre fedeli, il Duca comprese che non si può possedere la terra: si può solo appartenerle.”
— Dal diario perduto di Alaric di Svevia, 1458
